Mercati emergenti in ascesa: il paradosso del protezionismo USA

Dollaro più debole e nuovi equilibri globali ridisegnano i mercati emergenti, tra flussi di capitale e opportunità di crescita.

Un effetto collaterale positivo per i Paesi in via di sviluppo

Il ritorno d’interesse verso gli asset dei mercati emergenti è ormai evidente. Dall’inizio dell’anno, la filosofia trumpiana “America First” sembra aver prodotto un effetto collaterale inatteso: un dollaro più debole e una maggiore attrattiva per le economie in via di sviluppo. Osservando i principali indici di mercato e gli afflussi di capitali sui principali fondi passivi è chiaro come gli investitori stiano beneficiando del momento. Il contesto monetario più accomodante della Fed e la prospettiva di ulteriori tagli ai tassi contribuiscono a migliorare il sentiment generale. 

A proposito di Fed, il direttore del Consiglio economico nazionale americano, Kevin Hassett, ha dichiarato che accetterebbe la nomina a presidente della Federal Reserve qualora gli venisse offerto l’incarico per sostituire Jerome Powell e ha auspicato un taglio dei tassi a dicembre di 50 punti base, superiore ai 25 che il mercato sta scontando.  Hassett ha inoltre dichiarato che se dovesse assumere la guida della Fed ristrutturerebbe l’ufficio studi e i modelli economici previsionali per migliorare le capacità dell’istituto di interpretare l’evoluzione dell’economia. Musica per le orecchie di Trump.

Tornando sul tema, il rafforzamento di titoli come Huawei, Xiaomi e TSMC indica che il nuovo ciclo non è trainato più dalle sole materie prime preziose, ma da un crescente peso del comparto tecnologico asiatico. Gli indici MSCI dei mercati emergenti hanno sovraperformato quelli dei Paesi sviluppati in maniera significativa rispetto alla media degli ultimi anni. 

Fondo: tradingview.com

Tuttavia, in un mondo che si muove verso un duopolio di potenze economiche ancora precario, la sostenibilità del rally dei mercati emergenti dipenderà sia dalla capacità della Cina di proseguire le riforme per un mercato dei capitali più efficienti e della Fed di gestire un dollaro strutturalmente più debole senza destabilizzare la fiducia globale.

Perché un dollaro debole favorisce i mercati emergenti

Quando il dollaro si indebolisce, i mercati azionari dei paesi emergenti ne traggono vantaggio sotto diversi aspetti

In primis, nei mercati emergenti con valuta debole si preferisce emettere debito in dollari per garantire agli investitori una valuta più stabile di quella locale su cui investire. Se tuttavia il dollaro si svaluta (e di contro la valuta locale si apprezza) rimborsare il debito costa meno per governi e imprese locali, perché servirà meno valuta locale da convertire in dollari per pagare gli interessi. Conseguentemente, con più capitale a disposizione è possibile investire nella crescita economica del paese locale.

Secondo, gli investitori che sono sempre alla ricerca della migliore performance possibile, spostano i capitali in quelle economie che offrono tassi più elevati e crescita economica più sostenuta. L’afflusso di capitale apportato in queste economie fa salire ancor più i mercati azionari e obbligazionari locali, sostenendo ulteriormente la crescita.

Terzo aspetto, il deprezzamento del dollaro migliora la competitività delle esportazioni su tutti quegli asset quotati in dollari, come le materie prime spesso centrali nelle economie emergenti. Per gli investitori, questo contesto rappresenta un’opportunità interessante per diversificare il portafoglio e puntare su asset con potenziale di rendimento elevato.

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In fasi di entusiasmo diffuso, la disciplina resta il miglior alleato dell’investitore. Comprendere i fattori che muovono anche i mercati emergenti (e i rischi geopolitici che li accompagnano) aiuta a evitare scelte impulsive e a mantenere coerenza con i propri obiettivi di lungo periodo.

Valutare l’impatto di un dollaro più debole sulla propria pianificazione e confrontarsi con un consulente indipendente può essere il modo giusto per trarre vantaggio dal nuovo equilibrio globale.